Il ricorso al taglio cesareo ha raggiunto in Occidente proporzioni esagerate e allarmanti, distanziandosi in maniera abnorme dal 15% raccomandato dall’OMS. L’Italia è il paese del Nord del mondo in cui vi si ricorre più frequentemente. I numeri parlano da soli: in media, il 37,8% dei parti avviene per via chirurgica, contro una media nell’Unione Europea del 23,7% e un tasso suggerito dal Ministero della Salute di circa il 20%. Notevoli e ingiustificabili le differenze regionali: la Campania detiene il primato con oltre il 60%, seguita da Sicilia, Puglia, Basilicata…Le regioni più “virtuose” si collocano al centro-nord, dove la percentuale oscilla tra il 24 e il 28%. Si rileva una più alta incidenza nelle case di cura accreditate (con il 60,5% di cesarei) ed è più frequente nelle donne di cittadinanza italiana (39,8%) rispetto a quelle straniere (28,4%). Sulla base delle informazioni derivate dalla ricerca e di cui attualmente disponiamo, solo motivazioni non mediche – che non incidono quindi sulla salute delle donne e dei loro bambini – possono spiegare i motivi per cui l’Italia sia il paese con il più alto tasso di tagli cesarei del mondo industrializzato. Un’indagine condotta nel Regno Unito ha dimostrato che un parto cesareo effettuato senza indicazione clinica o motivato dall’urgenza comporta un rischio di morte materna quasi triplicato rispetto ad un parto vaginale, senza contare i benefici che il neonato riceve a seguito di un travaglio-parto naturale ben monitorato e assistito, ad esempio il miglior adattamento cardiorespiratorio postnatale.
Per aiutare le donne ad orientarsi verso scelte consapevoli e favorire il loro bisogno di confronto e comunicazione con il personale di assistenza, nel 2010 l’Istituto Superiore di Sanità ha prodotto il seguente documento, che dovrebbe essere distribuito in tutti i luoghi deputati all’assistenza al percorso-nascita (consultori, ambulatori ospedalieri, studi privati):
(cliccare sul link per scaricarlo in formato pdf)