Scegliere l’ospedale dove partorire

Dove vado a partorire?  Ogni donna se lo chiede quando inizia una gravidanza, e deve compiere una scelta, fondamentale per rispondere al suo bisogno di vivere l’esperienza della nascita secondo i propri desideri. Ma non sempre una donna esprime desideri definiti, oltre a quello di giungere alla fine del percorso mantenendo la propria integrità fisica e quella del suo piccolo. Ne consegue che, essendo nella stragrande maggioranza dei casi seguita in gravidanza da un ginecologo (perchè non al corrente del fatto che anche un’ostetrica ha le competenze per farlo, se tutto si svolge nell’ambito della fisiologia), la scelta cade semplicemente sulla struttura in cui lo stesso eventualmente lavora, benchè non sia ovvio che sarà presente durante il parto.

Dunque, già in gravidanza si traccia la strada, scegliendo la persona più rispondente alle esigenze personali per i controlli. Molto spesso, quando chiedo di conoscere le sue aspettative, la quasi mamma mi risponde proprio così: “Che tutto vada bene”. In quella piccola frase, in realtà, è contenuto un universo, perchè le variabili che intervengono nel tragitto che porta dal test di gravidanza positivo al parto sono innumerevoli, e quasi mai preventivate perchè non conosciute.

Chiarire a sè stesse quale professionista si vuole, con quali atteggiamenti assistenziali e relazionali, e quale esperienza, rappresenta il primo passo per una scelta consapevole e indirizzata verso obiettivi precisi: essere a conoscenza degli interventi ed esami davvero importanti (e di quelli superflui) per monitorare la gravidanza normale è, ad esempio, un buon inizio (*).

Assumere informazioni sull’ospedale in cui si è deciso di partorire è invece non soltanto un diritto (il personale delle strutture pubbliche è pagato per rispondere alle richieste), ma un’altra tappa importante della presa di coscienza che occorre iniziare a decidere per sè e per il proprio bambino, processo che durerà fino a quando lo stesso sarà in grado di assumere decisioni autonome.

Nei giorni scorsi, una giovane ostetrica mi spiegava ad esempio che nell’ospedale in cui lavora si effettua a quasi tutte le donne (salvo quelle che non danno il tempo di farla perchè sparano fuori il pupo…) l’episiotomia, ovvero il taglietto vaginale con le forbici durante l’espulsione del neonato, “perchè siamo abituate così”. Quando ho chiesto se tra le abitudini vi era anche quella di valutare con attenzione se l’intervento fosse davvero necessario, o di chiedere preventivamente il consenso della donna (come previsto abbondantemente dalla legge italiana in materia), la risposta è stata “noooo!!! si fa e basta”…

Già, si fa e basta. Mah!? Eppure, tanto per dire, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa con chiarezza e sulla base di dati scientifici ben strutturati, sulla questione-episiotomia… (*)

Informarsi, leggere, parlare con altre donne, mettere a fuoco cosa si vorrebbe per sè, avanzare garbate richieste all’ospedale individuato per partorire, scambiare quattro chiacchiere con le ostetriche che vi lavorano, visitarne altri e prendere nota delle differenze sono passaggi che aiutano a scegliere le migliori condizioni in cui vivere l’esperienza più intensa della vita. Una struttura che non consente di visitare la sala parto, che non lascia il papà accanto alla partoriente in travaglio e il piccolo accanto alla madre, che obbliga al digiuno, al monitoraggio continuo e a partorire in posizioni prestabilite, che non offre apertura verso il bisogno di essere informate, che vede nelle richieste delle donne non uno strumento di relazione ma un intralcio all’organizzazione del lavoro va scartato di certo, in favore di uno che allarga gli orizzonti e prevede il dialogo franco, l’informazione corretta e scientificamente aggiornata, il rispetto per i bisogni della mamma quando non entrano in contrasto con le esigenze di sicurezza per lei e per il suo cucciolo. In questo modo, le strutture virtuose potranno operare con sempre maggiore efficienza e crescere, e le altre saranno costrette ad adeguarsi se vorranno sopravvivere.

Umiltà, insomma, da parte di tutti, e tanta professionalità competente al servizio della causa di una buona nascita… 😉

(*)   – https://intornoallanascita.com/2012/02/06/esami-in-gravidanza-il-protocollo-ministeriale/

(**)  – http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/05/06/news/mamme_in_italia_sala_parto-58167160/

Il taglio cesareo, se e quando serve

 


Il ricorso al taglio cesareo ha raggiunto in Occidente proporzioni esagerate e allarmanti, distanziandosi in maniera abnorme dal 15% raccomandato dall’OMS.  L’Italia è il paese del Nord del mondo in cui vi si ricorre più frequentemente. I numeri parlano da soli: in media, il 37,8% dei parti avviene per via chirurgica, contro una media nell’Unione Europea del 23,7% e un tasso suggerito dal Ministero della Salute di circa il 20%. Notevoli e ingiustificabili le differenze regionali: la Campania detiene il primato con oltre il 60%, seguita da Sicilia, Puglia, Basilicata…Le regioni più “virtuose” si collocano al centro-nord, dove la percentuale oscilla tra il 24 e il 28%. Si rileva una più alta incidenza nelle case di cura accreditate (con il 60,5% di cesarei) ed è più frequente nelle donne di cittadinanza italiana (39,8%) rispetto a quelle straniere (28,4%). Sulla base delle informazioni derivate dalla ricerca e di cui attualmente disponiamo, solo motivazioni non mediche – che non incidono quindi sulla salute delle donne e dei loro bambini – possono spiegare i motivi per cui l’Italia sia il paese con il più alto tasso di tagli cesarei del mondo industrializzato. Un’indagine condotta nel Regno Unito ha dimostrato che un parto cesareo effettuato senza indicazione clinica o motivato dall’urgenza comporta un rischio di morte materna quasi triplicato rispetto ad un parto vaginale, senza contare i benefici che il neonato riceve a seguito di un travaglio-parto naturale ben monitorato e assistito, ad esempio il miglior adattamento cardiorespiratorio postnatale.

Per aiutare le donne ad orientarsi verso scelte consapevoli e favorire il loro bisogno di confronto e comunicazione con il personale di assistenza, nel 2010 l’Istituto Superiore di Sanità ha prodotto il seguente documento, che dovrebbe essere distribuito in tutti i luoghi deputati all’assistenza al percorso-nascita (consultori, ambulatori ospedalieri, studi privati):

opuscolo_cesareo

(cliccare sul link per scaricarlo in formato pdf)

Il parto in casa? Sicuro come in ospedale…


Il più largo e recente studio mai compiuto sul parto tra le mura domestiche, eseguito ad opera di ricercatori olandesi e i cui risultati sono stati pubblicati nel 2009 anche all’interno del BJOG (International Journal of Obstetrics and Gynaecology), ha esaminato la situazione in Olanda perché è uno dei Paesi con la percentuale più alta di mamme che decidono di partorire a casa (30%). Lo studio ha dimostrato che il parto in casa risulta essere sicuro come quello in ospedale, a patto che la selezione delle donne che possono accedere a questo tipo di assistenza sia molto rigorosa. Il Professor Simone Buitendijk, del TNO, un Istituto  olandese indipendente di ricerca scientifica applicata, afferma che “Il parto a casa, se la gravidanza non è a rischio, e’ sicuro come in ospedale”. Tuttavia occorrono ostetriche molto esperte e che siano in grado di valutare l’entità dei problemi (non possono accedere al parto domiciliare le donne con pregresso cesareo, con gravidanza gemellare, con feto podalico o altre situazioni che esulano dalla fisiologia).(*)Questo studio ha già orientato, ad esempio, il Dipartimento della Salute Britannico verso un maggior impegno nella promozione del parto in casa. Almeno un terzo delle donne dovrebbe partorire in casa o nei centri gestiti da sole ostetriche e considerare l’ospedale un “optional”. È questo l’appello lanciato nel luglio 2011 dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (Rcog) britannico che in un rapporto sostiene la necessità di una riduzione dei reparti di maternità per concentrare le cure specialistiche sulle donne che hanno maggiori urgenze. Secondo Anthony Falconer, presidente di Rcog, l’attuale gestione pubblica delle maternità non è accettabile, né sostenibile. Le donne non dovrebbero più guardare all’ospedale come al posto dove partorire. «Solo un terzo delle partorienti ha bisogno di un medico, solo un terzo di una ostetrica e solo un terzo di entrambi», afferma Falconer in un’intervista rilasciata al periodico “The Times”.

Sul sito dell’associazione dei ginecologi britannici è possibile trovare un dettagliato documento a supporto della libertà di scelta delle donne riguardo al parto in casa (www.rcog.org.uk/womens-health/clinical-guidance/home-births).

E voi, cosa ne pensate? : )