Letture sotto l’ombrellone

Un piccolo consiglio di lettura, assai singolare, che mette insieme il racconto di vita vissuta, l’ironia, la tragicità, la bellezza e la tenacia della vita stessa, una professione difficile e speciale come quella dell’ostetrica e la meraviglia della nascita, pur se spesso circondata dal disagio. Non sempre un bambino nasce desiderato, come vorremmo che fosse, anzi! Ancora nel terzo millennio su questo pianeta buona parte degli umani vede la luce per caso, disgrazia, incidente di percorso, pura biologia, e il destino di ognuno resta segnato dal luogo e dalle condizioni socio-economiche che trova quando fa capolino dal ventre materno. Leggere “Chiamate la levatrice” (*) apre una finestra sulla realtà di quel periodo triste, in una città che si fatica persino a riconoscere in quella che attualmente si presenta ai nostri occhi.

Il librino lo ha scritto Jennifer Worth, personalità variegata, infermiera/levatrice (secondo il termine in uso all’epoca) nella Londra degli anni’50, successivi a una guerra sanguinosa e devastante, poi musicista e infine, ispirata dai ricordi, scrittrice di una trilogia di cui fa parte questo testo, l’unico al momento tradotto in italiano. E per chi volesse anche appagare il bisogno di immagini, c’è pure la versione televisiva, che nel Regno Unito ha avuto un record inaspettato di ascolti e in Italia viene trasmessa da Retequattro (**).

Dalla scheda dell’editore (Sellerio):
“La cronaca, quasi un diario, delle giornate di una levatrice nell’East Side di Londra inizi anni Cinquanta. Con lei si entra nella realtà delle Docklands, vite proletarie che sembrano immagini della plebe ottocentesca più che cittadini lavoratori del democratico Novecento. Si entra in questa desolazione impensabile con una voglia di verità quotidiana raramente riscontrabile in un libro, ma anche con una rispettosa allegria, con la sicura fiducia che quel mondo stia per finire, senza rimpianti, grazie ai radicali cambiamenti apportati dal Sistema sanitario nazionale appena nato. Come poi fu, almeno fino ad oggi.
La fresca verve di Jennifer Worth, nel trattare una materia così cruda, crea una formula ingegnosa (e di grande successo sia letterario che come fiction televisiva). L’eroismo quotidiano di interventi clinici spesso drammatici, si mescola alla denuncia sociale, alla fiamma inestinguibile dei sentimenti umani, e alla ricchissima quantità di storie e ritratti. Accanto a questi, la galleria, tenera, nobile e a tratti comica, delle giovani levatrici e delle suore del convento di Nonnatus House, da cui le ragazze dipendevano professionalmente e dove abitavano. Su questa testimonianza aleggia un lieve «effetto Dickens» con un tocco di innocente gaiezza, che però non nasconde un monito evidente a favore delle politiche sociali solidaristiche, a non smantellare, per la scarsa memoria del passato, gli strumenti che hanno permesso di diffondere dignità umana.”

Buona lettura e buone vacanze, comunque e dovunque si svolgano!! 🙂

 

(*)  – sellerio.it/it/catalogo/Chiamate-Levatrice/Worth/7354

(**) – http://www.mediaset.it/rete4/articoli/l-amore-e-la-vita-call-the-midwife-2_542.shtml

 

 

 

 

 

 

L’ alleanza terapeutica tra donna e ostetrica

Il termine “alleanza terapeutica” appare in numerosi contesti di cura e anche su testi di riferimento legislativo, per indicare quello speciale rapporto che si crea tra curante e assistito e porta alla creazione di un patto condiviso, finalizzato al raggiungimento di un obiettivo comune. In parole semplici, si può definire come un autentico incontro tra le esigenze di entrambi, in cui trovano spazio il dialogo, lo scambio, la domanda e la risposta, la richiesta di professionalità e la disponibilità a fronteggiarla con competenza, rigore, serietà. Nella nostra realtà questo processo prevede anche la stesura di un documento (il consenso informato (*), che testimonia l’avvenuta raccolta delle richieste della persona assistita, l’informazione da essa ricevuta e la conseguente accettazione della proprosta assistenziale.

Nel caso della relazione tra donna e ostetrica, partendo dal presupposto che l’obiettivo è quello di soddisfare il bisogno di salute, che in gravidanza si estende anche al nascituro, il primo passo del percorso consiste nell’ascolto delle richieste, che conduce a stabilire un dialogo.

Come si svolge, nella pratica? Quando vengo contattata da una donna, in genere telefonicamente, inizio a raccogliere la sua necessità di sostegno per mettere a fuoco gli strumenti necessari per fronteggiarla. Abitualmente si concorda un incontro, durante il quale ci si conosce, si stabilisce un primo legame anche emotivo, ci si “annusa” reciprocamente (siamo animali!) e, a poco a poco, si definiscono le posizioni di entrambe. L’ascolto è fondamentale, perchè consente di mettere a punto i passi necessari per risolvere un problema o mettere a punto un percorso assistenziale condiviso. Molto spesso un solo incontro è già risolutivo, per questioni non particolarmente complesse o per consulenze su specifici aspetti della vita o della salute di competenza ostetrico-ginecologica. Altre volte si rende necessario reincontrarsi, per completare un discorso avviato e verificare l’appropriatezza delle soluzioni proposte.

Se la richiesta riguarda l’assistenza in gravidanza e durante il parto, ovviamente il contatto diventa frequente, si intensifica in prossimità dell’evento e prosegue dopo la nascita del bambino, nel sostegno alla nuova condizione. In particolare, se la scelta cade sul parto domiciliare la necessità di informazione sarà molto elevata, ovviamente estesa alla coppia, e da parte dell’ostetrica occorrerà una cura particolare nell’esposizione delle alternative, dei dettagli assistenziali, della scelta del percorso, che contemplerà anche il sondaggio delle motivazioni, dell’accettazione o rifiuto di passaggi tecnici, la messa a punto della documentazione necessaria alla programmazione, la compilazione della cartella ostetrica, la predisposizione di un preventivo di spesa e del consenso informato, un vero e proprio documento in cui risulta tutto quanto è stato espresso dalla professionista, compreso dalla donna e da essa accettatto e sottoscritto. L’importanza di questo documento è davvero enorme per la nostra legislazione, perchè testimonia tutti i passaggi elencati e non può non tenere conto di leggi, regolamenti e, per effetto di un recente decreto, delle linee-guida. Di cosa si tratta? La linea-guida è un insieme di raccomandazioni messe a punto sulla base di conoscenze continuamente aggiornate e ritenute le migliori per garantire che le cure prestate siano appropriate, di elevata qualità e sicure. I sanitari non sono obbligati a metterle in atto, ma fortemente raccomandati a farlo, perchè in caso contario potrebbero andare incontro a serie conseguenze legali.

Facciamo un esempio molto comprensibile: se una donna mi chiede di assisterla a domicilio dopo aver subito un taglio cesareo, la mia posizione di professionista mi impone di informarla circa il fatto che ciò non è consentito dalle linee-guida sul taglio cesareo redatte dall’Istituto Superiore di Sanità, per motivi ben precisi. Sulla base delle conoscenze attualmente disponibili, infatti, questa condizione va gestita solamente in centri ospedalieri che posseggano determinate caratteristiche (**).

Particolarmente importante, dunque, è la serietà con cui l’ostetrica va incontro alle richieste della donna, dal momento che ha obblighi ben precisi, come specificato in un articolo del suo Codice Deontologico: Nell’esercizio dell’attività professionale l’ostetrica/o si attiene alle conoscenze scientifiche e agisce nel rispetto dei principi fondamentali della qualità dell’assistenza e delle disposizioni normative che regolano le funzioni di sua competenza, al fine di assicurare l’appropriatezza, l’equità e la sicurezza delle cure”. In questa frase sono contenuti tutti i principi-guida dell’esercizio professionale, a garanzia di un sostegno non soltanto emotivamente intenso, ma anche tecnicamente rigoroso, l’unico in grado di garantire il miglior risultato per mamma e bambino. Per le donne e per le ostetriche deve essere chiaro che non tutti i desideri possono trovare sbocco nella pratica: il bisogno di cura si deve misurare con le leggi e le linee-guida assistenziali, a meno di accettare un supplemento di rischio che, innanzi tutto, può ripercuotersi anche pesantemente sull’integrità di mamma e neonato, il che è molto grave, ma può assumere risvolti legali ed economici gravosissimi per l’ostetrica, compromettendo sia l’immagine della categoria che la percezione dell’esperienza (interpretata come pericolosa) da parte degli altri operatori sanitari e soprattutto, ed è ciò che più conta, da parte delle donne stesse…

Alleanza terapeutica significa, dunque, partecipazione responsabile al processo terapeutico, in cui la distribuzione del sapere e del potere tra ostetrica e donna consenta a entrambe un’assunzione ragionata e consapevole di responsabilità nei confronti della propria esperienza. E’ davvero qualcosa di grande, che se condotto con la necessaria cura può dare luogo ad un’esperienza di arricchimento prezioso per antrambe, e non solo… : )

 

(*) – https://intornoallanascita.com/2012/10/15/il-consenso-informato-e-le-cure/

(**) – https://intornoallanascita.com/2013/07/10/partorire-dopo-un-cesareo/