Il desco e la tazza da parto

 

 

 

 

Questo meraviglioso oggetto è un esemplare di desco da parto, dipinto da Pontormo su tavola e conservato agli Uffizi, a Firenze. Risale al 1526 circa, e venne realizzato in occasione della nascita di un bimbo in una famiglia della Firenze dell’epoca. Il desco era un vassoio tondo (da “disco”) in legno, dipinto su entrambi i lati, che durante il Rinascimento veniva offerto come dono cerimoniale alle donne delle famiglie più abbienti che avevano appena partorito; si trattava un oggetto della vita quotidiana delle donne dell’alta società, e con esso si serviva un primo pasto, solitamente un brodino, alla partoriente subito dopo il parto e nei giorni seguenti, fino a quando restava a letto. Vi erano spesso dipinti temi allegorici ben augurali o episodi sacri legati alla natività, e sul retro riportava generalmente elementi araldici propri della famiglia a cui era destinato. Più frequentemente vi si rappresentavano scene inerenti alla nascita di Cristo, alludendo in tal modo alla sacralità della procreazione (scopo delle nozze) nel matrimonio cristiano. Nel corso del cinquecento, questo costoso oggetto venne sostituito gradualmente da tazze in ceramica, le cosiddette tazze da puerpera, decisamente più a buon mercato, che ebbero invece vita assai più lunga.

Particolare curioso, tratto dal bel documento segnalato nel link sottostante: “nel 1940, al concorso nazionale per la ceramica d’arte, riservato a giovani ceramisti, uno dei temi in concorso era proprio un modello moderno di tazza da parto come dono alla puerpera. Questo servizio doveva comprendere la scodella per il brodo, il piatto portauovo con il portasale, il tutto congegnato con un’unica presentazione facilmente scomponibile nelle sue parti”.

Per approfondire:

DAL DESCO DA PARTO ALLA TAZZA DA PUERPERA: SIGNIFICATO E SIMBOLOGIA DI UN OGGETTO LEGATO ALLA NASCITA
Maria Pia Mannini

http://popolazioneestoria.it/article/view/180

Prima di nascere

Quando si osserva un neonato non si può non provare stupore e meraviglia, per una presenza che fino a qualche mese prima era soltanto un desiderio, un pensiero fuggevole, un progetto ancora tutto da realizzare. Soltanto “quell’uovo femminile e quello spermatozoo maschile”, proprio quelli e non altri, hanno reso concreto “quel” bambino, che sarà come nessun altro. Non stupisce quindi che il concepimento e la gravidanza abbiano da sempre suscitato interrogativi inquietanti e suggerito ipotesi fantasiose, specie quando le conoscenze anatomiche e di funzionamento del corpo umano non erano ancora sviluppate. Da un bel librino edito da Electa/Gallimard, dal titolo “Nascere, e poi?”, si possono ricavare alcune interessanti informazioni:

“Sin dalla notte dei tempi, il concepimento e la gravidanza, i due eventi naturali che inaugurano l’avvento di un nuovo essere nel teatro della vita, sono avvolti dall’ombra e dal mistero. Attorno a loro si catalizzano fantasmi, speranze e angosce. Dall’Antichità fino al Medio Evo i processi fisici della procreazione costituiscono un vero enigma per teologi, teorici e medici. In mancanza di conoscenze fisiologiche, la spiegazione si fonda sul pensiero metaforico e simbolico. Le teorie greco-romane dominano le credenze occidentali fino all’inizio del Rinascimento. Fu Aristotele a esprimere un principio fondamentale: i due sessi non svolgono lo stesso ruolo. Se il seme maschile costituisce il principio attivo, l’utero femminile (chiamato più frequentemente matrice) determina il destino di tale principio, così come la donna influisce a sua volta sullo sviluppo dell’embrione. Una volta compiuto il concepimento, il ventre si chiude completamente: un processo che desta meraviglia e inquietudine. Alcune teorie medievali tentano di cogliere il mistero della fecondazione: un tema ricorrente è quello della trasformazione della materia che viene associato alla riproduzione vegetale: il sangue mestruale viene classificato come fiore, il seme maschile come germe e l’embrione come frutto.

Nel XIII secolo, un medico afferma che le parti del corpo umano sono state create e “ordinate secondo la disposizione del mondo”: l’utero è circolare e viene rappresentato a cerchi concentrici, a immagine del mondo allora conosciuto, dunque il feto sta nell’utero come l’uomo nell’universo. Questa immagine del 1626 rimanda al corpo femminile come “giardino del genere umano” da cui sboccia il bambino, similmente a un fiore:

L’utero è, come il mondo, condizionato dall’influsso degli astri, ed ecco fiorire una serie di credenze sulla gravidanza: chi nasce prima del settimo mese non potrà sopravvivere perchè non tutti i pianeti hanno esercitato il proprio influsso. Il mese più propizio per nascere sembra il nono, il mese di Giove. In ogni caso, l’utero è considerato come un animale oscuro e selvatico, nascosto nel cupo antro del ventre, e la gravidanza è un fenomeno angosciante, che reca in sè il senso del mistero e della malattia. Durante questo periodo la donna è fragile e il bambino vulnerabile, da qui il moltiplicarsi di consigli e di prescrizioni da parte di chi circonda la donna, e anche della Chiesa.

Attività pesanti e sforzi esagerati durante la gravidanza, così come i maltrattamenti delle gestanti da parte dei mariti sono noti per provocare parti prematuri e aborti. Viene consigliato alla gestante, in trattati medici diffusi all’epoca, di riposare, e raccomandato ai familiari di avere cura di lei, attenzioni certo impensabili per le donne delle classi sociali più povere. Poichè le carenze del corpo materno si ripercuotono direttamente su quello del bambino, si sviluppa una simbologia dei gesti e del vestiario: non bisogna accavallare le gambe o le braccia per non provocare attorcigliamenti del cordone ombelicale; bisogna indossare abiti ampi e slacciati; cinture proibite, catene e collane vanno tolte e riposte in un sacchettino appeso agli abiti…I mutamenti dell’appetito e del comportamento sono segni inequivocabili della gravidanza. In tutte le classi della società medievale, le voglie di cibo di qualsiasi tipo sono un desiderio da soddisfare, credenze di cui resta traccia diffusa ancora oggi.

Anche l’immaginazione delle donne esercita un influsso potente che lascerà tracce tangibili sul bambino: il desiderio alimentare non soddisfatto si riflette direttamente sul corpo del futuro neonato, sotto forma di macchie o malformazioni. Un contagio immediato che si manifesta in entrambi i sensi: con in grembo un essere privo della ragione, la futura mamma non si trova forse in una condizione disonorevole, troppo spesso “malinconica nello spirito e piena di tristi pensieri”? Il corpo materno ha dunque un doppio ruolo nei confronti del feto che reca in grembo: è schermo, filtro che lo protegge dal freddo o dal calore eccessivo, ma al tempo stesso è elemento conduttore capace di trasmettergli sensazioni diverse, alcune delle quali condizioneranno pesantemente il suo avvenire. Nei manoscritti medievali l’immagine del nascituro nel ventre materno è quella di un bambino fatto e finito, non di un embrione e poi feto, e tale concezione sopravviverà fino al Seicento”.

Che cosa resta di questo immaginario? Molto direi, anzi moltissimo, soprattutto nelle società tradizionali. L’Occidente si è lasciato tanto alle spalle, ma in compenso la scienza ha confermato le intuizioni legate, ad esempio, al riflesso degli influssi e delle esperienze negative sul benessere del feto prima e neonato poi, affermando la centralità della salute femminile, della cura della gravidanza, del parto e dell’accoglienza al nuovo nato nella promozione della salute globale presente e futura dell’individuo che viene generato. Non è poco, ma certo moltissimo resta da fare per garantire a tutto il genere umano quell’attenzione verso la sua integrità psichica e fisica che è premessa indispensabile per il benessere delle generazioni attuali e a venire. Per questo è fondamentale partecipare in maniera attiva alla costruzione della propria, unica e personale esperienza di maternità: informazione, contatti con più operatori e strutture, scelte ragionate sono strumenti di costruzione del benessere per sè e per il bambino che verrà. Una bella differenza, quella tra affidare la propria sorte interamente ad altri e decidere in prima persona…

Per ulteriori approfondimenti:

https://intornoallanascita.com/2011/11/03/la-gravidanza-ecologica-3/

https://intornoallanascita.com/2012/02/06/esami-in-gravidanza-il-protocollo-ministeriale/

https://intornoallanascita.com/2013/05/28/lassistenza-in-gravidanza-e-durante-il-parto-chi-e-come/

Partorire in solitudine

Una mammina, sollecitata da un post comparso sulla pagina facebook di questo blog, ha reagito d’impeto con una risposta di grande emotività, un grido intenso di sofferenza che, nove mesi dopo il parto, esprimeva la sua condizione di donna che si è sentita espropriata di un pezzo di vita durante e dopo la nascita del suo piccolo. Mi è sembrato che nove mesi fossero proprio, simbolicamente ma non solo, il tempo di gestazione dei pensieri, e le ho proposto di buttar fuori tutto il suo sentire in forma scritta, ipotizzando che ciò potesse avere una valenza “terapeutica”, aiutandola a ripercorrere passo per passo il suo vissuto di parto, per condividerlo e scaricare almeno in parte la tensione e la delusione ancora profondamente ancorati alla sua esperienza. Sembra che abbia funzionato: M. ha accettato di scrivere, io volentieri condivido e sarebbe bello che tante altre la seguissero, per raccontare di sè ciò che hanno voglia di trasmettere.

“Avevo scelto di partorire a casa. Era bastato questo ad alimentare i commenti di genitori e suoceri, quei tentativi di spaventare, di rendere tutto il più preoccupante possibile. Alla fine ce la faccio, il mio compagno è dalla mia parte, gli altri se ne fanno una ragione. Ho vissuto il pensiero del parto con un certo timore, ma non per il dolore né per altri aspetti simili. Volevo semplicemente riuscire a partorire naturalmente. Sono nata da un parto cesareo, sono stata allontanata da mia mamma per mezza giornata almeno, sono stata allattata poco. Che sia vero o solo una mia percezione, mi è mancato il contatto fisico da parte di mia mamma. Per me e il mio piccolo volevo qualcosa di diverso, volevo spezzare quel circolo vizioso. Ho contattato l’ostetrica, abbiamo organizzato tutto, la casa era pronta, la gravidanza procedeva perfettamente. Mi sveglio alle 4.15 del sette Maggio e corro in bagno: mi si sono rotte le acque e in un misto di gioia e paura, con un’ emozione forte in petto e la voglia di iniziare, chiamo l’ostetrica e aiuto il mio compagno a fare la lavastoviglie. Bisognava trovargli qualcosa da fare… Arriva l’ostetrica mentre fuori tutto è ancora buio e silenzioso e comincia il mio travaglio, tra una chiacchiera e l’altra. Verso le 10 del mattino tutto sembra procedere per il meglio tanto che ci immaginiamo che per pranzo sarà tutto concluso e lo vedremo finalmente. Arrivano le due colleghe dell’ostetrica, la cosa mi disturba un po’ nonostante lo sapessi. Dopo un po’ tutto si ferma al punto in cui era e cominciano una serie di tentativi: massaggi, granuli omeopatici e gomitate sulle anche da parte di una delle aiutanti. Il tempo passa e non cambia niente e io comincio a essere stanca; le contrazioni continuano anche se non sono efficaci oltre i sei centimetri di dilatazione. Sono stanca e intorno a me non percepisco sicurezza. Non capisco cosa succeda, ma resto determinata. Provo a cantare, a usare la voce (è il mio lavoro).Vado in camera e dormo fra una contrazione e l’altra abbracciata al futuro papà con risvegli dolorosi. Mi chiede “cosa facciamo?” e io non so, non capisco. Alla fine, di fronte all’iniziale tentennamento delle ostetriche, si decide di andare in ospedale. Sono le otto di sera. Arrivo in ospedale, abbacchiata perché era l’ultimo posto in cui sarei voluta andare. Fanno qualche domanda, guardano l’agenda della gravidanza, mi svesto, mi fanno una flebo di ossitocina e partono fortissime ancora le contrazioni. Mi sembra di non farcela più, di non avere più la forza di sopportare il dolore. In un angolo della mia mente ho paura del cesareo. Di nuovo dormo fra una contrazione e l’altra, il mio compagno sempre con me a dirmi che sono bravissima e che ce la farò. L’ostetrica dell’ospedale mentre urlo mi dice di stare calma e io vorrei risponderle male o darle un pugno. Iniziano le spinte e mi spostano in sala parto. Io ci metto tutta me stessa e spingo. L’ostetrica mi dice che mi farà una puntura di lidocaina, ma che non mi taglieranno e io, in preda al momento, le rispondo “me lo dice proprio perché lo farà”. La ginecologa mi sale sulla pancia. Due volte e io urlo fortissimo, le grido “si tolga!”. Mi tagliano e all’ultima spinta esce il mio bellissimo Giacomo (alle 2.45), me lo appoggiano un secondo sulla pancia e lo danno subito alla pediatra. Giacomo sta bene, ma per la pediatra non è abbastanza. Guardo l’ostetrica che mi aveva seguito da casa e le dico “sono delle bestie. Datemi il mio bambino”. Me lo danno un minuto mentre un’ostetrica infila una mano per estrarre la placenta, una oss mi fa un’altra puntura di ossitocina e la ginecologa mi pizzica la pancia. Io mi tengo stetto quel fagottino che mi guarda dritto negli occhi. Ancora adesso conservo il ricordo del suo calore, la sensazione del suo corpicino e delle sue ossa appoggiate al mio petto. Niente da fare, due minuti e lo portano via. Nella culla termica, così per scrupolo. Senza sapere che addosso a me potrebbe avere tutto il calore di cui ha bisogno. Lo portano al nido e mi cuciono. Mi alzo e chiedo di andare a vederlo e chiedo “quando me lo portate?” Tergiversano. Arriverà il mattino dopo e io passerò il resto della notte avanti e indietro per il nido a tenergli la mano. Il giorno dopo me lo portano e proviamo ad attaccarlo. Ho il capezzolo un po’ piatto e mi danno subito un paracapezzolo, senza troppe spiegazioni. Il giorno dopo, mentre io e Giacomo dormiamo insieme nel letto della stanza, vengono a svegliarci alle 6 dicendo che bisogna fare la fototerapia per la bilirubina alta e sono altre dodici ore lontano da me. Faccio di nuovo la spola fra la stanza e il nido; alla fine si rassegnano e mi mettono una sedia vicino alla cullina. Piango tanto. Le cose non dovevano andare così e in più mi stanno tenendo lontano dal mio piccolo. Piango e mi guardano come fossi matta. Mi dicono che Giacomo sta bene. Io lo so che sta bene. Non è quello il punto. Non ho la montata, non posso attaccarlo e mi vengono mille paure e senso di inedaguatezza. Nessuno mi dice granché. Rassicurazioni generiche. Sono io che sono esagerata a quanto pare. Passano i quattro lunghi giorni e torniamo a casa. Mi metto a letto, nudi io e il mio bambino. Arriva il latte e tutto comincia. Difficile com’è difficile all’inizio, ma piano piano tutto si avvia.
Qualcuno mi ha suggerito di scrivere della mia esperienza e la ringrazio con tutto il cuore perché doveva essere così. Dopo nove mesi in cui ancora ogni tanto, nei momenti stressanti, penso che il mio bambino non possa volermi bene, che non mi abbia sentita abbastanza. E scrivo perché ho ancora tanta rabbia e mi scendono le lacrime mentre digito. Ho una rabbia tremenda nei confronti di chi ci ha privato del NOSTRO momento, di chi si permette di interferire con una cosa così grande per scarsa competenza, per fretta, per convenienza. Nessuno mi darà indietro quello che non abbiamo avuto e io pian piano me ne farò una ragione perché ho una creatura splendida e il petto gonfio di amore per lui che non ci sono modi per spiegarlo. Ma c’è da chiederselo che razza di società è mai quella che ha perso il rispetto per la nascita, la fiducia per ciò che le donne sanno fare dalla notte dei tempi. Noi siamo quelle stesse donne e nessuno ha il diritto di ferirci nell’atto di diventare madri, nessuno ha il diritto di togliere a nostri bambini la primissima occasione di sentirsi al sicuro. Amati.”

Ecco, ora dopo una pausa di silenzio e riflessione viene a me da fare alcune considerazioni: M. ad un certo punto dice, ancora a casa, “intorno a me non percepisco sicurezza”, il che fa pensare ad una mancanza impalpabile, ad un contesto in cui lei non si sente a suo agio, serena, cosa che sappiamo incidere fortemente sulla fluidità del travaglio, potendo arrivare a bloccarlo (ce lo dice la scienza!). Inoltre, era letteralmente circondata da personale sanitario, ma profondamente SOLA, se si esclude il suo compagno. E tale è rimasta, sembra: sola nella percezione e nell’elaborazione degli eventi che si sono succeduti, sola durante la degenza in ospedale, sola al rientro a casa. O almeno questo è quanto traspare intensamente dal suo racconto, dove viene a mancare un riferimento, un’ancora a cui aggrapparsi per “leggere” gli eventi, smorzare l’angoscia, prima, e provare a recuperare i lati belli dell’esperienza per farne punti di forza, poi, perchè a distanza di tempo dal parto non fosse ancora lì a convivere con questo pensiero: “dopo nove mesi ancora ogni tanto, nei momenti stressanti, penso che il mio bambino non possa volermi bene, che non mi abbia sentita abbastanza…”

Molto ci sarebbe da riflettere sull’appropriatezza degli interventi tecnici messi in atto (spinte sulla pancia, episiotomia…), ma questo è un altro capitolo.

Cosa suggerire a questa coraggiosa mamy, che ha trovato la forza di mettere nero su bianco il suo vissuto? Di guardare avanti con il sorriso, di coccolarsi il suo bambino nella certezza che non gli sta sottraendo nulla, anzi! Di prendere per mano il suo compagno e proseguire il cammino con la consapevolezza che la più forte, in tutto questo, è stata proprio lei, che ha saputo e voluto andare oltre tirando fuori la rabbia e la delusione, malloppi molesti dentro la mente e il cuore. E un augurio, con un caldo abbraccio: di poter presto fare il bis recuperando tutto ciò che le è mancato!! : ))

Il metodo mamma canguro

Il metodo mamma canguro (MMC), che la donna sta applicando nella bella foto d’archivio del National Geographic, è una procedura di cura del neonato prematuro (prima delle 37 settimane di gravidanza) e di basso peso alla nascita (meno di 2500 gr), che si basa sul mantenimento del contatto continuo pelle-pelle tra madre, padre o altro adulto di riferimento e piccolo, con il minor numero di interruzioni possibile e per non meno di due ore consecutive, oltre che sulle attenzioni di base come alimentazione, stimoli e protezione. Deriva il suo nome dalla similitudine con cui si realizza lo sviluppo extrauterino dei canguri neonato (e in generale tutti i marsupiali), che prima di uscire dal grembo terminano lo sviluppo aggrappati alle ghiandole mammarie disposte all’interno della borsa marsupiale (o marsupio) materna. Si può utilizzare una fascia apposita che consente un maggior comfort materno e facilita la respirazione del neonato.

Il MMC fu ideato nel 1978 da un neonatologo colombiano, Edgar Rey Sanabria, a Bogotà: in quegli anni, l’ospedale in cui operava stava vivendo una situazione critica, con limitate risorse e grande affluenza di neonati di basso peso, che andavano incontro ad alta mortalità benchè gestiti secondo le procedure assistenziali considerate necessarie e sufficienti (separazione dalla madre e sosta in incubatrice per periodi variabili). La scarsa disponibilità di incubatrici rese necessario collocare più neonati in ciascuna di esse, con conseguente aumento delle infezioni. Sanabria propose dunque di sperimentare una diversa strategia per quei neonati che avevano superato la fase critica iniziale di adattamento alla vita extra-uterina: passare ad una interazione stretta con la madre, che avrebbe prodotto sia un forte stimolo all’allattamento che la decongestione dei reparti ospedalieri in favore dello sviluppo di appositi ambulatori di monitoraggio. I risultati non tardarono a rendersi evidenti, con riduzione di mortalità e infezioni neonatali, malnutrizione, squilibri termici, apnee (sospensioni del respiro) e broncopolmoniti da aspirazione di latte, per cui il metodo venne incoraggiato e sviluppato ulteriormente: man mano che si acquisiva esperienza si sviluppavano i concetti e le caratteristiche-base per la sua applicazione pratica, specialmente l’individuazione dei pilastri fondamentali, ossia l’allattamento materno e il contatto pelle-pelle tra mamma e bebè.

Anche la posizione del neonato rispetto alla madre fu oggetto di studio, per limitare i pericoli di caduta del piccolo, così come quella materna più appropriata (verticale durante il giorno e semiseduta la notte).

Il comitato locale Unicef appoggiò e diffuse la pratica in Sud America, mentre l’OMS ne riconobbe il grande valore assistenziale con il Premio Sasakawa per la Salute. Così, una pratica nata per fronteggiare situazioni di emergenza venne poi sottoposta a ricerca scientifica, tramite cui fu possibile rilevarne i buoni risultati, statisticamente significativi.

Questa procedura consente di soddisfare efficacemente le necessità del neonato prematuro o di basso peso: mantenimento della temperatura corporea, alimentazione con latte materno, protezione dalle infezioni, stimoli di varia natura, sicurezza e coccole; la sua efficacia è pari, o anche superiore in determinate circostanze, a quella delle cure tradizionalmente intese (incubatrice, riscaldamento artificiale), se si comparano mortalità e morbilità. Riduce inoltre i tempi di ricovero ospedaliero e i costi assistenziali di questi bimbi.

E’ principalmente adatta a neonati che respirano autonomamente e non presentano condizioni di gravità, ma può essere applicabile in diverse situazioni, in base agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Così ad esempio possono trarne vantaggio

– neonati con problemi di regolazione della temperatura corporea;

– contesti in cui non esistono alternative (Paesi in vi di sviluppo), come pratica assistenziale primaria;

– Unità di Terapia Intensiva Neonatale (TIN) come pratica umanizzante, favorente l’avvio della relazione madre-bambino, applicabile anche se il piccolo è in ventilazione assistita, quando le condizioni generali lo consentono.

Raggiunto un buon adattamento reciproco madre-neonato, accertate le competenze della madre nella gestione e del piccolo riguardo a suzione, deglutizione e respirazione, si può passare alla dimissione e al monitoraggio ambulatoriale. Questa modalità di cura, per il suo alto valore assistenziale e umano, è ora applicata in numerosi Paesi industrializzati d’Europa e del Nord America.

Comunque, il contatto madre (padre) bambino, fin dalla nascita, rappresenta un elemento di fondamentale importanza per favorire il passaggio alla vita extrauterina, così come il latte di mamma è l’alimento adatto al cucciolo umano: non dimentichiamo che è ciò che Madre Natura ha previsto per tutti i mammiferi…

Per approfondire, la guida curata dall’OMS, anche nella versione in francese e spagnolo :

http://www.who.int/reproductivehealth/publications/maternal_perinatal_health/9241590351/en/index.html

Parlare di sesso con i bambini


“Il mio bambino non ha mai chiesto nulla sul sesso”…”Mia figlia è ancora troppo piccola“…”Ha altro a cui pensare”…”Non è ancora ora”…”Ho paura di incoraggiare atteggiamenti precoci”…”Non so da dove incominciare”…”Mi mette in imbarazzo“…”Ci penserà la scuola“…”Ooh, ma tra amici ne parlano!I giovani ormai sanno tutto!”…”Quando sarà adolescente, magari…” Quante volte ho ascoltato queste frasi, e tante altre, alcune molto rassicuranti per l’adulto che le pronunciava, altre espressione di un disagio che affonda radici nell’infanzia, quando certi argomenti nemmeno si potevano sfiorare senza generare silenzi, reazioni sorprese o scomposte, chiusura. Difficile, difficilissimo parlare di sesso con i bambini, con gli adolescenti poi…e bisogna vedere se a 15 anni hanno ancora voglia di parlarne con mà e pà, perchè se prima di allora non si è mai toccata la questione, figurati dopo!! Un documento (*) approvato recentemente dall’organizzazione Mondiale della Sanità, stilato da un gruppo internazionale di esperti in ambito educativo e diffuso in Europa, finalizzato a diffondere standard comuni riguardo alla promozione della salute sessuale, sta facendo molto discutere per alcuni contenuti piuttosto espliciti (sui quali ognuno è ovviamente libero di esprimere le sue perplessità). Comunque la si consideri, la faccenda scotta sempre, va detto: ma crea difficoltà soprattutto in famiglia, con i propri figli, per proseguire con la scuola, dove trovare insegnanti disposti ad affrontare in maniera aperta discorsi sulla sessualità non è affatto semplice e, perchè no, persino con operatori sanitari (medici, ginecologi, ostetriche) che teoricamente dovrebbero avere meno inibizioni… Perchè? Risposta essenziale: se si perpetua un atteggiamento di evasione, da genitori a figli, dove e quando mai si potrà pensare di mettere a disposizione di bambini e ragazzi (e adulti, eh?) una sana informazione, che rappresenti la base per scegliere consapevolmente, responsabilmente quando, con chi e come vivere le proprie esperienze sessuali, naturali e ovvie tappe dell’esistenza umana? Contare sugli scambi tra loro diventa pericoloso: vero che circolano tante informazioni, ma molto confuse e difficili da usare, quando non sono sbagliate! Intendiamoci, non è una colpa del singolo: il problema è che se una società esclude un elemento così fondamentale e complesso della vita dalla vita stessa, a partire dall’infanzia, crea le condizioni per gli abusi su donne e bambini, le gravidanze indesiderate, la sessualità violenta, le malattie a trasmissione sessuale, le distorsioni squallide che sono sotto gli occhi di tutti, bambini compresi! Il genitore medio vive nell’illusione che tutto ciò sia distante dalla vita di un piccino, invece non è così: televisione, riviste, edicole che espongono qualunque cosa, pannelli pubblicitari, discorsi stessi degli adulti condotti con noncuranza, magari in apparente “codice” e pieni di sottintesi, tanto i bimbi non capiscono. NON CAPISCONOOO!? Accidenti se capiscono, e imparano così in fretta che se solo intuiscono il disagio di mamma o papà, si guardano bene dal porre domande: l’ultima cosa che un bambino desidera è vedere sul viso delle figure essenziali della sua vita espressioni poco rilassate… Le domande, SE avranno l’opportunità, le faranno a qualcun altro. Eccone alcune, rivolte a me durante gli incontri con bambini di seconda elementare: “io so che mamma e papà fanno uno scambio, che c’è un passaggio da mamma a papà, ma come succede questo?”, “quanto tempo passa da quando papà da il seme alla mamma a quando comincia a formarsi il bambino?”, “d’accordo, ci vuole un seme del papà e un uovo della mamma, ma tutte le volte che c’è un passaggio nasce un bambino?”, “il bambino nella pancia dorme, ascolta, mangia?”, “come fa a respirare?”, “perchè muoiono alcuni bambini nella pancia?”, “se la mamma sta male, sta male anche il bambino?”, “come fa a uscire dalla pancia?”, “è vero che certe donne e certi uomini non possono avere bambini?”, “se si rompe il sacchetto dove c’è il bambino, come fanno a nascerne altri?”…Questi piccini han formulato domande così complesse a soli 7 anni, perchè nella loro mente c’è già moltissimo, assorbito nel tempo dall’ambiente circostante!! E se non trovano nessuno che risponda? Ancora? Il genitore di un tredicenne pensa mediamente che la propria creatura abbia sì curiosità, ma superficiali, non ancora proprio così avanzate…Ecco le domande di tredicenni di scuole medie periferiche con cui porto avanti da anni un progetto di educazione alla sessualità: “da dove viene il bisogno di avere rapporti tra due donne?”, “vorrei sapere come si fa a passare da un organo genitale maschile a uno femminile, cioè il nome dell’operazione”, “perchè il pene diventa duro quando si guarda una donna nuda?”, “perchè quando si ha un rapporto sessuale lo sperma esce solo dopo vari movimenti?”, “se si hanno rapporti durante le mestruazioni si resta incinte?”, “se durante il rapporto il maschio urina che succede?”, “cos’è la circoncisione e perchè si fa?”, “che cos’è l’eiaculazione precoce?”, “a che età si può prendere il viagra?”, “il clitoride può diventare duro?”, “il petting di solito si fa prima del rapporto, ma cosa si deve fare esattamente?”, “vorrei approfondire l’argomento sulle precauzioni da prendere”, “come fanno a fare sesso gay e lesbiche?”, “com’è la posizione a coccinella?” (a questa non ho saputo rispondere, lo confesso!)… Credo che se leggessi a un gruppo di genitori di tredicenni tutto ciò dovrei prevedere almeno qualche malore in sala (e non ho riportato proprio tuuutto!). Potrei andare avanti per alcune pagine, ma sono tutte domande piene di sanissima curiosità, senza malizia, che servono a capire i misteri della vita e a collocare la sessualità in maniera normale nella propria esperienza, ricavando strumenti per gestirla con resposabilità e gratificazione…ma se nessuno risponde, che fine fanno? Si cercano altrove, le risposte, e mica sempre sono quelle giuste. Allora, come se ne esce? Pensando che fin dalla nascita un essere umano è sessuato: è maschio o femmina, il suo corpo è fatto di tante parti, i genitali necessitano da subito di essere toccati per tenerli puliti, e a un certo punto il pupo scopre di averceli. Come fino a quel momento ha esplorato il resto del suo corpicino, così fa con la “patatina” (la vulva!) e il “pisellino” (il pene!). E quando inizia a parlare, chiede: come funziona questo, e quello, e da dove sono venuto, e poi come è stato possibile, ed ecco che l’adulto incomincia a tremare. Quando ho seguito un bellissimo corso di formazione sessuologica, il docente ha pronunciato una frase che mi è rimasta stampata nella mente: “parlare di sesso con i bambini, o con chiunque, deve essere percepito come qualcosa di semplice, come descrivere la ricetta della torta di mele“. Proprio così: il pene o la vulva sono pezzi di un insieme al pari di tutti gli altri, delicati e intimi però, da trattare con cura, tenere puliti, imparare a lavare da soli. E poi sono davvero singolari, perchè servono per “fabbricare” altri bambini. E qualunque domanda può rappresentare il punto di partenza per spiegare cose nuove, educare alla diversità e al rispetto, stimolare il desiderio di saperne di più. I bambini vogliono risposte veloci e comprensibili, però: non dilungarsi è importante, perchè se chiedono “da dove sono uscito” la risposta deve essere stringata (“dalla vagina della mamma, un canalino speciale che sta tra le gambe””, ad esempio). Può essere che gli basti così, al momento, come può darsi che vogliano approfondire. Prepararsi non è un male: qualche bel libro consultato in biblioteca e poi insieme a loro aiuta tanto, e la maggior parte dei genitori scova qualcosa che non sapeva (non si finisce MAI di imparare)!! A questo link si possono trovare tanti bei libri: –  http://www.uppa.it/rubriche/cultura/libri-e-lettura/educazione-sessuale-bibliografia-ragionata Molti studi dimostrano che un dialogo aperto e sereno tra genitori e figli ritarda l’inizio delle esperienze sessuali, produce capacità di riflessione e rende i giovani più consapevoli di ciò che vogliono fare, del tipo di partner e di relazione che desiderano, delle possibili conseguenze di una sessualità vissuta senza affettività e senza precauzioni. In fondo, i timori di un genitore sono legati proprio a questi elementi della faccenda… Ora, si impone preparare gli ingredienti per una bella torta di mele, e parlando ad alta voce concentrarsi sulla descrizione dei passaggi, dalla farina all’estrazione dal forno, cioè fare esercizio per passare a qualche altro argomento… ; ))

(*)  –  http://www.bzga-whocc.de/?uid=20c71afcb419f260c6afd10b684768f5&id=home

La pubertà maschile

Al pari della pubertà femminile, quella maschile sembra essere scomparsa dal lessico comune, eppure un bambino transita con vigore e intensità fisica ed emozionale verso l’età adulta passando proprio da questa “strettoia”, in cui si canalizzano gli sconvolgimenti che in pochi anni ne trasformano le fattezze, spesso disorientando loro stessi, con la finalità di renderli adatti alla riproduzione.

Anche nei maschi, i primi segni di pubertà possono comparire con estrema variabilità anche se con ritardo rispetto alle femmine: dai 9 ai 13 anni circa, mediamente intorno agli 11-12, ma per capire quanto possa essere diverso il percorso basta pensare alla grande differenza di sviluppo staturale e muscolare osservabile in una classe di prima media; elementi quali l’etnia di appartenenza, il clima, l’alimentazione, le abitudini di vita, fattori genetici possono influenzare in maniera consistente tappe e durata dello sviluppo.

Alla base del fenomeno, l’attivazione di organi e apparati ad opera di sostanze chimiche potenti, gli ormoni sessuali maschili. Il primo segno evidente è la crescita dei testicoli (a volte accompagnato da dolenzia), il cui aumento stimola a sua volta anche la crescita del pene e degli organi accessori interni (prostata, etc), fino ad arrivare all’eiaculazione, cioè l’emissione di sperma contenente spermatozoi, elementi fecondanti. Caratteristiche di questa fase iniziale sono le cosiddette polluzioni notturne, emissioni involontarie di liquido durante il sonno, che possono già verificarsi a 9-10 anni (prima che inizi la produzione spermatica).

L’attivazione dei bulbi piliferi produce la comparsa di peluria alla base del pene, che col tempo si infittisce e si estende alle ascelle e al torace; stesso fenomeno compare anche sul labbro superiore e sul mento, iniziando a “disegnare” barba e baffi; i lineamenti del viso si fanno più marcati per via dello sviluppo scheletrico peculiare del maschio.
Anche le ghiandole sudoripare si attivano, mutando l’odore del corpo ( e ben lo avvertono le madri quando aprono il potabiancheria… : ). L’ispessimento delle corde vocali produce un cambio di tonalità della voce, che diventa meno acuta.

Il fisico inizia a farsi più massiccio, con incremento della massa e della forza muscolare, ma nell’insieme i fenomeni di maturazione genitale si svolgono in un arco di tempo che può andare da uno a tre-quattro anni, in cui lo sperma si arricchisce progressivamente di spermatozoi.

In questo periodo può comparire anche un lieve rigonfiamento mammario, che scompare in seguito. Struttura scheletrica e muscolare subiscono trasformazioni profonde e caratteristiche del sesso maschile.

Gli spermatozoi, a differenza delle uova femminili, si formano in continuazione nei testicoli per tutta la vita, pur se in numero variabile (massimo tra 20 e 25 anni), per poi decrescere con il trascorrere del tempo. L’intero processo che porta alla maturazione di uno spermatozoo dura circa 70 giorni, ma nel testicolo sono contemporaneamente presenti gli spermatozoi in tutti gli stadi di crescita, per cui un uomo è sempre fertile: un dialogo aperto tra genitori e ragazzo è fondamentale per renderlo consapevole delle sue potenzialità, fin dall’infanzia, e preservarlo da esperienze che possono cambiare il corso della sua esistenza (gravidanze indesiderate della compagna, malattie a trasmissione sessuale).

Le delicate strutture dell’apparato genitale maschile sono particolarmente sensibili all’azione di sostanze quali alcool, droghe, fumo di sigaretta, che possono danneggiare sia la qualità che la quantità di spermatozoi prodotti. Il fumo inoltre, riduce il calibro dei vasi sanguigni e altera ben presto la normale erezione del pene. I ragazzi che praticano sport devono essere messi in guardia rispetto alle sostanze anabolizzanti, che potrebbero allettarli per aumentare la massa muscolare ma causare gravi danni a vari livelli. Pantaloni e slip molto aderenti possono produrre irritazioni da sfregamento ai testicoli e aumentarne la temperatura, danneggiandoli.

Già durante lo sviluppo nell’utero materno le strutture corporee del bambino possono subire danni consistenti legati all’azione di sostanze tossiche ambientali, purtroppo spesso inevitabili, o introdotte dalla madre (alimenti poco sani, fumo, alcool, droghe). E’ di fondamentale importanza evitare il più possibile di aggravare la tossicità dell’organismo della mamma, perchè attraverso la placenta passano pressochè tutte le sostanze chimiche.

I maschi tendono a diventare più introversi rispetto alle ragazze, e ad allontanarsi maggiormente dalla figura materna, rifiutando frequentemente con vigore quel contatto fisico che fino a poco tempo prima mostravano invece di apprezzare…ma questo momento così carico di emotività può aprire la strada a complicità nuove, a dialoghi mai intessuti, a nuovi modi di stare insieme, nel rispetto del bambino che sta viaggiando veloce verso l’uomo.

Per approfondire:

https://intornoallanascita.com/2012/04/04/dal-neonato-alluomo-la-salute-al-maschile/

La pubertà femminile


Termine quasi scomparso dal lessico quotidiano, pubertà, eppure non possiamo fare a meno di considerare questa parentesi fondamentale della vita di un individuo, specie quando i cambiamenti che in essa avvengono sono così vistosi, se non altro per comprenderne meglio anche gli intensi aspetti emotivi collegati.

Dunque, per pubertà si intende la fase biologica di mutamenti fisici attraverso i quali passa il corpo di un bambino per assumere le caratteristiche di quello adulto, essenzialmente rivolti a garantirne la riproduzione. Questo processo comporta davvero grandi sconvolgimenti a vari livelli, inclusi mutamento dell’umore e sviluppo delle pulsioni sessuali, per effetto di una attivazione chimica imponente che porta alla produzione di ormoni sessuali. La trasformazione più marcata è connessa con l’inizio dell’attività delle ghiandole sessuali, che si manifesta nella ragazza attraverso il fenomeno visibile della prima mestruazione o menarca (*).

Le differenze fisiche tra maschi e femmine fino a questo momento sono limitate quasi esclusivamente all’ apparato genitale esterno; con la pubertà sopraggiunge invece lo sviluppo di notevoli difformità riguardo a dimensioni, forma, composizione e funzione di strutture e sistemi del corpo, ma la trasformazione più evidente, per le ragazzine, riguarda le cosiddette caratteristiche sessuali secondarie, come la crescita dei peli sul pube e delle mammelle, l’aumento di volume delle grandi labbra, l’allargamento del bacino e l’inizio del ciclo mestruale.

Il processo puberale nelle femmine inizia prima che nei maschi, pur se con grande variabilità individuale in relazione all’ambiente, all’etnia, alle condizioni socio-economiche e anche psicologiche.

All’inizio del secondo decennio della vita, la maggior parte delle ragazze sviluppa caratteri secondari e matura la capacità riproduttiva, aumentando di statura e consolidando l’apparato scheletrico. La prima manifestazione dello sviluppo puberale interessa lo sviluppo mammario, con comparsa di piccole protuberanze (bottoni mammari) nell’area del capezzolo, a volte dolenti, che rappresentano il “nucleo” della ghiandola mammaria, da cui originerà la mammella per effetto dell’influenza ormonale. In parallelo, dai bulbi piliferi situati sul pube e nel cavo ascellare inizia a comparire la peluria, il grasso corporeo si ridistribuisce “al femminile” e per effetto di una aumentata attività delle ghiandole sebacee può comparire l’acne, localizzata in particolare sul viso e spesso fonte di disagio.

In alcune situazioni si verifica una pubertà anticipata (prima degli 8 anni), che può incidere sul ritmo di crescita e compromettere la normale evoluzione dell’altezza finale, ad esempio, oppure non avere alcuna influenza su di essi. Una valutazione medica appropriata consente di stabilire se i processi di maturazione stanno avvenendo comunque in maniera normale o è necessario intervenire per correggerli.

Prima dei 9 anni possono comparire piccole perdite ematiche cicliche simili alle mestruazioni, che spesso cessano lasciando spazio alle altre modificazioni puberali che avvengono alla normale età. In questi casi si effettua soltanto un attento controllo periodico della bambina, per rilevare un eventuale passaggio ad una pubertà anticipata.

Si definisce invece ritardata quando non vi è comparsa dei segni di maturazione puberale fino a 13-14 anni; può verificarsi anche un ritardo o mancata comparsa del menarca quando sia già ultimato lo sviluppo puberale. In entrambi i casi, il più delle volte la ragazza non presenta alcuna patologia, e si riscontrano spesso precedenti famigliari analoghi (la mamma, la nonna).

Molte situazioni di menarca tardivo sono però collegate a deficit nutrizionali o ad una attività fisica intensa (giovani atlete o ballerine). Le abitudini dietetiche acquisite fin dalla prima infanzia e fattori di inquinamento ambientale possono esercitare un’influenza non indifferente sullo sviluppo puberale. (**)

Anche una cura attenta della gravidanza è fondamentale per preparare il terreno di uno sviluppo regolare della neonata, delle sue strutture corporee e dei fenomeni futuri che si verificheranno nel suo organismo: molti studi hanno dimostrato e stanno indagando l’influenza dei fattori ambientali e degli stili di vita sulle fasi di crescita embrionale e fetale e le loro ripercussioni sui delicati meccanismi puberali.

Un’indagine ecografica, innocua e di facile esecuzione, permette di rilevare eventuali anomalie dell’apparato genitale interno della ragazzina e di intervenire in maniera appropriata dove sia nacessario.

Non è difficile, dunque, immaginare il groviglio imponente di emozioni che accompagna questa fase complessa e intensa di passaggio esistenziale: un cambiamento corporeo così rapido e importante non può certo passare inosservato nella mente di quella che prima, sul piano psicosociale e culturale, era una bambina, e in breve tempo acquista le caratteristiche esteriori della donna, con tutti i risvolti collegati a questa condizione. La vicinanza discreta e affettuosa, insieme all’osservazione attenta degli eventuali segnali di disagio, continua ad essere il supporto più grande per aiutare e sostenere l’adulta che verrà, ricordando sempre che anche noi abbiamo vissuto le medesime emozioni, gli stessi sconvolgimenti. Spesso proprio questo momento ci riporta ai conti in sospeso che abbiamo ancora con noi stessi, e magari ci spinge a chiedere aiuto per farli tornare, finalmente… : )

(*) – https://intornoallanascita.com/2013/10/05/la-mestruazione/

(**) – http://www.tuttogreen.it/puberta-sempre-piu-precoce-colpa-dellalimentazione-e-dellinquinamento/

Lotus Birth

Il Lotus Birth è una pratica che consiste nel non sezionare il cordone ombelicale dopo il parto, mantenendo quindi la placenta attaccata al neonato fino al distacco spontaneo del cordone stesso dall’addome del piccolo, che si verifica in genere a distanza di 3-10 giorni. Il taglio del cordone ritardato di 4-6 ore è piuttosto diffuso presso numerose culture indigene in cui si pratica ostetricia tradizionale, in varie parti del pianeta ma soprattutto a Bali dove a placenta e cordone ombelicale vengono attribuiti particolari significati simbolici. La stragrande maggioranza delle femmine di mammifero (non le foche, le belene e poche altre) mangia la placenta dopo il parto, per trarne preziose sostanze nutritive, ma presso gli umani soltanto alcune culture orientali mantengono tradizioni di consumo soprattutto del brodo ottenuto dalla sua bollitura (*).

La pratica sopra descritta è invece menzionata nei diari dei primi coloni dell’Europa occidentale in America; abbandonata nel tempo e ripresa soprattutto dai praticanti lo yoga che negli anni ’80 esploravano le vie della nascita naturale, venne denominata Lotus Birth in considerazione del valore sacrale attribuito al loto nelle culture orientali, esteso idealmente al neonato. Attraverso il mantenimento di questo “legame” anche dopo la nascita, i benefici teorici sarebbero sostanzialmente di natura strettamente spirituale (maggior serenità e benessere del neonato).

La si pensi come si vuole, ogni donna può chiedere che nella sua esperienza di parto possa rientrare anche il Lotus Birth, a seguito di consenso sottoscritto dopo aver ricevuto un’informazione corretta circa lo stato attuale delle conoscenze sulla questione e il trattamento igienico da riservare alla placenta.

Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) del Regno Unito, associazione professionale che raduna gli specialisti medici nella branca ostetrica, nel 2008 si è pronunciato sul tema in questi termini:

       “Non esistono al momento attuale ricerche scientifiche sul Lotus Birth e non vi sono evidenze mediche a dimostrazione del suo beneficio per il neonato”

       “Prima di scegliere questa procedura, tutte le donne dovrebbero essere pienamente informate dei potenziali rischi, che possono includere infezioni e conseguenze ad essa associate per la salute del bambino”

       “Si sottolinea che allo stato attuale il Lotus Birth resta una pratica nuova per il Regno Unito e non vi è ricerca in corso per quanto riguarda la sua sicurezza”

–  “Se la donna opta per questa procedura, il RCOG raccomanda una sorveglianza stretta del neonato per rilevare segni precoci di infezione”

Questo documento (**) rappresenta tuttora il riferimento medico e giuridico per eventuali controversie legate all’applicazione della procedura che si dovessero presentare nella pratica.

 (*)   Per approfondimenti: 

 https://intornoallanascita.com/2013/07/14/che-fine-fa-la-placenta/

(**) – Documento integrale al link: 

  http://www.rcog.org.uk/what-we-do/campaigning-and-opinions/statement/rcog-statement-umbilical-non-severance-or-%E2%80%9Clotus-birth

Natale con i bambini

Il Presepe di Emanulele Luzzati, esposto da anni nel periodo natalizio a Torino, mi incanta sempre, e me lo vado a rimirare ogni dicembre con la stessa attenzione, figura per figura: mi riporta all’infanzia, a quelle emozioni sospese che ad ogni Natale si rinnovavano nella mia casa. La nostalgia forte della mamma che nei giorni precedenti preparava squisiti ravioli in gran quantità, che spignattava dalla mattina della vigilia con entusiasmo; di papà che si aggirava per casa senza una precisa mansione, con le sorelle che per un paio di settimane trafficavano con presepi e palline colorate di fragile vetro soffiato (ogni anno almeno una finiva in frantumi); e io, l’ultima arrivata della truppa, ad osservare, toccare, ascoltare…E Gesù Bambino (molto in voga all’epoca) e Babbo Natale? Un misto di eccitazione e timore, va detto.

Quando sono diventata madre, il Natale ha significato tornare a immergermi anima e core nell’atmosfera di festa, dedicando tempo alla preparazione dell’ambiente, alla letterina a Babbo Natale dettata dalle piccine, alla scelta dei giocattoli, all’impacchettamento fioccuto e accattivante e poi all’osservazione dell’attesa negli occhi e nei gesti delle mie bimbe…

Racconti fantastici su slitte e renne, cieli nordici e sacchi giganteschi, camini intasati da Babbo Natale, apparizioni magiche di doni, il tutto condito con aggiunte dettate dalla loro fantasia, sguardo perso nel vuoto e pennarelli pronti per disegnare queste immagini astratte…fino alla scoperta che no, il Babbo non esiste, “ma io voglio ancora crederci per un pò”.

La meraviglia di guardarle correre verso l’albero addobbato, scartare i regali con gridolini di entusiasmo e iniziare a giocare: uno spettacolo! Ma questa ricorrenza è sempre stata ed è ancora occasione per compiere gesti di attenzione verso chi è meno fortunato, mettendo mano al portafogli e rinunciando volentieri a qualcosa per cause in cui si crede. Ora il Natale è momento in cui comunque ci si ritrova per stare insieme, per godere l’atmosfera domestica alla giornata e minuto per minuto, oziare sul divano, farsi ancora le coccole (ancora, sì!!!) e prepararsi spiritualmente ad un nuovo anno che arriva, in cui ognuno tornerà alle occupazioni abituali. Con un pensiero malinconico a chi non è più tra noi ma che sentiamo comunque vicino…

BUONE FESTEEEEE!!! : )

L’ostetrica e la legge nel rapporto con la donna

Nelle società industrializzate, potrebbe sembrare che nella relazione tra donna e ostetrica entrino solamente aspetti tecnici, relazionali ed eventualmente economici se quest’ultima è una libera professionista, invece non meno carichi di significato sono gli elementi giuridici, che nel nostro Paese risultano essere piuttosto complessi. Innanzi tutto, le norme che regolamentano l’esercizio della professione ostetrica stabiliscono gli ambiti di competenza in maniera chiara, con limiti invalicabili oltre i quali interviene il medico. Nel caso della gravidanza e del parto, ad esempio, l’ostetrica può agire nel cerchio della perfetta fisiologia, obbligata a far ricorso al consulto medico anche soltanto per situazioni ambigue, non ben definite, potenzialmente bisognose di correttivi anche se questi si dimostrano poi superflui e tutto rientra nella norma (dunque, torna nelle mani dell’ostetrica!). Pertanto sono fondamentali il dialogo e l’integrazione tra le due professionalità per garantire i migliori esiti di salute per mamma e neonato.

Altro aspetto cardine del rapporto tra donna e ostetrica è quello del consenso alle cure (*), che va considerato con attenzione particolare, senza mai dimenticare che la professionista è tenuta ad analizzare con grande riguardo richieste e desideri della persona, ma secondo obblighi ben precisi riguardo al modo con cui fronteggiarli, sempre scientificamente provato, aderente alle linee-guida riconosciute e mai superficiale: l’obiettivo deve essere solo quello di offrire esperienza competente e sicurezza massima con il minimo di intervento sanitario di provata efficacia, salvaguardando l’esigenza di rispetto delle esigenze individuali. Non tutto quanto la donna richiede può ricevere consenso e appoggio incondizionato da parte dell’ostetrica, come di qualunque altro sanitario, perchè l’operatore stesso ha la necessità di muoversi in contesti di tutela anche della propria persona: agire al di fuori delle indicazioni legislative può comportare conseguenze pesanti per entrambi i soggetti del percorso assistenziale, con esiti di salute compromessa o peggio per la donna (e/o il neonato), e risvolti penali per la professionista (rinvio a giudizio o richieste di risarcimento anche milionarie).

In ultimo, la parte economica: ogni prestazione ostetrica fornita da libera professionista ha un costo che va definito chiaramente in via preventiva, secondo un tariffario che preveda costi equi e rispondenti alla delicatezza e alla complessità della prestazione stessa, in base a una precisa norma del Codice Civile.

Naturalmente nulla vieta alla donna di consultare più professioniste, per saggiare tutti gli elementi sopra esposti attraverso un sereno confronto, preparandosi uno schema di domande e richieste, senza tralasciare informazioni precise circa il costo dell’assistenza di cui necessita, ma scegliendo poi in base all’impressione di professionalità, serietà ed empatia ricavata durante il colloquio, che non necessariamente deve avere un prezzo esorbitante… ; )

Per approfondire:

(*)https://intornoallanascita.com/2012/10/15/il-consenso-informato-e-le-cure/