Bellissimo estratto da un antico testo per la formazione delle ostetriche, all’epoca dette Comari (dal latino tardo commater, composto di con– e mater «madre»), che presenta caratteri di assoluta modernità, oltre a riportarci l’immagine di un “professore di chirurgia” che parrebbe piuttosto sensibile e attento ai bisogni della donna in travaglio…
“LA COMARE LEVATRICE ISTRUITA NEL SUO UFIZIO”
secondo le regole più certe e gli ammaestramenti più moderni
opera di Sebastiano Melli, professore di chirurgia, stampata in Venezia nell’anno 1738:
“NOTA ALTA ALLA COMARE”
“ Non deve la savia Donna (l’ostetrica, n.d.r.) poner in positure la gravida partoriente, se non è l’ora del partorire. Per ordinario questa si accosta quando l’acque si uniscono o formano, per parlar colla Comare, che s’intende quando vengono in parte spinte avanti colle membrane. Quando quest’acque saranno bene raccolte, il che la Comare dovrà conoscere col metter il dito nel seno pudendo, dovrà situare la sua Cliente per accogliere il figliuolo, e non si dovrà prender premura di rompere dette membrane, perché uscendo l’acque avanti il tempo, restano asciutte le vie ( da cui il tento temuto “parto asciutto”, spauracchio delle partorienti…n.d.r.), e si difficulta il partorire; può ancora la Signora Comare nell’atto che fa ispezione per sentire le acque ungersi i diti nell’oglio di mandorle fatto di fresco, o col butirro, oppure con qualche pinguedine emolliente, il che si fa per lassare, ammollire, e addolcire le vie, per le quali deve viaggiare la creatura. L’impulsione delle acque nelle seconde serrate, serve ad ampliare, e dilatare poco alla volta l’osculo uterino, come tra gli altri il Sig. Blancardi spiegò. Difatto in principio alla grandezza di una nocciuola si ritrova; e quanto più gli sforzi sempre crescono, tanto e più spinte, e respinte le seconde con l’acque, premono all’orifizio, e l’ampliano un poco alla volta; cessando gli sforzi, l’acque recedono dal luogo che avevano imboccato, e restano flaccidette le membrane. Ritornando nuovi sforzi, ritornano di bel nuovo le acque ad imboccare, le membrane ad estendersi, e così sempre più resta la cervice uterina dilatata ; à segno tale che dal sentirsi imboccate le seconde alla grandezza di una nocciuola, come sopra dissi, si passa a scoprirle della grandezza di un uovo di gallina, e non poche volte corrisponde al capo dell’infante, così che occupa tutto il passo: rotte queste, lubricate le vie, ecco l’nfante alla luce, colle seconde ancora. Avverta la Comare di non aver unghie lunghe, di levarsi anelli, o smanigli, perché quelli ornamenti non possono se non molestare le parti molli della partoriente, e impedire la speditezza di operare. Avvertirà ancora che la partoriente non sia cinta da cosa alcuna, non stretta ne’ capelli, non legata le coscie, o gambe, acciò nei premiti dal parto non patisca, e possino i fluidi liberamente scorrere. Noto di nuovo, che la Signora Comare non si deve pigliar premura di far uscire l’acque col rompere le membrane; perché tal cosa non deve essere fatta se non in occasione de’ Gemelli, come in fine di questo libro diremo.”
“…addolcire le vie per le quali deve passare la creatura”…. Quanta meraviglia in questo “ufizio” della comare!