Non è una riflessione frequente, quella sull’identità di genere delle persone, ma la vita di chi presenta situazioni non riconducibili all’eterosessualità, abitualmente intesa come condizione “normale” dell’individuo, o alterazioni nella corrispondenza tra sesso fisico e sesso psichico non è semplice, nè è facile aprire un confronto su queste tematiche con la maggior parte del genere umano, perchè l’ignoranza regna sovrana.
L’omosessualità, ad esempio, è una condizione presente a livello planetario e riguardante circa il 10% della popolazione maschile e femminile, a tutte le latitudini; essa è stata ed è tuttora oggetto di studio approfondito, ma non si è ancora giunti a individuarne le motivazioni. Un’indagine recente ipotizza che all’origine di una preferenza per individui appartenenti al proprio sesso potrebbero esserci fattori epigenetici, ereditabili, che non riguardano i geni, ma le modalità della loro espressione, concetto di non facile comprensione per i non addetti ai lavori, ma che apre grandi spazi per capire (*), perchè questo dovrebbe essere l’obiettivo di chiunque osservi il mondo senza pregiudizi e soprattutto nel rispetto della diversità, quando non disturba la vita altrui.
I disordini veri e propri dello sviluppo sessuale esistono invece, e si possono presentare sotto varie forme: derivare ad esempio da un’alterazione dello sviluppo dei genitali interni ed esterni durante la vita fetale, che porta alla nascita di bambini con ambiguità sessuale, cioè non immediatamente riconoscibili come maschi o femmine. Spesso, infatti, a seguito di tali alterazioni non è possibile effettuare una immediata attribuzione del sesso di appartenenza alla nascita, ma occorre effettuare apposite indagini diagnostiche. Si tratta in questi casi di una condizione estremamente complessa intanto dal punto di vista della gestione psicologica del bambino, nonché della famiglia (come allevare un piccino affetto da questa anomalia, come un maschio o come una femmina?), e che necessita di diversi supporti (psicologico, medico, chirurgico).
Un tempo, queste condizioni venivano chiamate con termini quali Pseudoermafroditismo maschile o femminile, Ermafroditismo o simili. Questo linguaggio determinava situazioni di disagio grave per il minore, quindi è stato abbandonato, grazie all’affermarsi di una diversa cultura e sensibilità, in particolare sotto la spinta delle associazioni di persone che, vivendo il problema, hanno sottolineato l‘impatto psicologico negativo per loro stessi e per le loro famiglie legato all’uso di termini che facevano direttamente riferimento ad anomalie dell’apparato genitale.
Facciamo un esempio, per capire meglio la complessità di queste riflessioni: è sufficiente il deficit di una (una sola!) sostanza molto specifica, che dovrebbe intervenire in alcuni meccanismi ormonali nel testicolo, per produrre una condizione con incompleta differenziazione dei genitali maschili in maschi con normale patrimonio genetico. La mancanza di testosterone, sostanza ormonale tipicamente maschile, nel testicolo fetale dà origine a individui geneticamente maschi, ma con genitali esterni femminili.
Proviamo ora a immaginare quale ambiente famigliare e sociale trovano questi bambini: anche se alcuni, con difetti meno evidenti, vengono cresciuti come maschi, quelli con alterazioni più gravi di solito sono cresciuti come femmine fino a quando, alla pubertà e per effetto di variazioni ormonali complesse, sviluppano segni di virilizzazione (ingrossamento fallico, caratteristiche sessuali maschili secondarie) e aumento del volume mammario…dunque, come la mettiamo dal punto di vista del bambino, che crescendo sperimenta sul proprio corpo e nella psiche una condizione certamente molto difficile, fonte di grave disagio?
Questo tipo di anomalia è spesso sottodiagnosticato nell’infanzia, e viene evidenziato solo alla pubertà, quando inizia l’attività delle ghiandole sessuali, e che succede allora? Dipende dalla gravità delle alterazioni: individui geneticamente maschi, cresciuti come femmine, a quel punto non hanno mestruazioni e sviluppano una produzione di peli tipicamente maschile, oppure se cresciuti come maschi, vanno incontro a sviluppo mammario e incompleto sviluppo dei genitali.
Se la diagnosi viene posta alla nascita, l’attribuzione del genere deve essere ben meditata, a seconda dei risultati attesi dalla chirurgia plastica mascolinizzante dei genitali. Se viene assegnato il sesso femminile, devono essere eseguite la chirurgia plastica femminilizzante dei genitali e altri aggiustamenti chirurgici. E’ anche disponibile la diagnosi prenatale, per situazioni ben definite.
Il differenziamento sessuale avviene durante la vita intrauterina, ed è un processo complesso in cui intervengono molti fattori in sequenza tra loro: l’inquinamento ambientale, la trascuratezza nella prevenzione e nella cura della salute delle persone e soprattutto delle donne in gravidanza sono elementi potenzialmente capaci di alterarli. Se uno solo di questi subisce interferenze, le conseguenze sono sempre importanti!
In pratica, ne può derivare la mancata corrispondenza tra sesso genetico e sesso apparente, perchè alterazioni dei meccanismi di differenziazione sessuale comportano uno sviluppo anomalo degli organi sessuali. Queste possono verificarsi in tutte le fasi dello sviluppo embrionale, per effetto di interferenze anche ambientali su e le conseguenze pertanto sono diverse per ciascun tipo di errore, generando anomalie di vario tipo.
I meccanismi naturali che determinano lo sviluppo di un nuovo essere vivente sono delicatissimi, complessi, possono essere turbati e deviati con facilità, perciò la nostra attenzione deve rivolgersi a tutto ciò che li protegge, li favorisce, senza dimenticare il rispetto totale e la comprensione umana dovuti a chi, senza colpa, porta su di sè il peso di processi che per ragioni difficili da individuare si sono svolti in maniera imperfetta…