Il dolore nel parto: alla ricerca di un senso

Credo non sia possibile parlare del dolore, fisico o psichico, se non se ne ha esperienza: in particolare, risulta difficile riportare fedelmente sensazioni connesse a stati fisico-emozionali di intensità elevata, quali quelli collegati con la nascita e la morte, le due manifestazioni estreme dell’esistenza, e comprenderle appieno quando qualcuno ce ne parla o le sperimenta.

Ho avuto modo di vivere entrambe le situazioni che generano il massimo della felicità e fanno toccare il vertice della sofferenza, attraverso la nascita di un figlio e la perdita di una persona cara: in entrambe mi è parso di poter distinguere elementi comuni, sui quali sono tornata spesso con la riflessione e che ho avuto modo di  rielaborare nel tempo, attraverso l’accumularsi delle esperienze di vita.

L’intensità rappresenta senza dubbio il primo aspetto, quello che colpisce immediatamente e con violenza: la nascita, vissuta nelle condizioni opportune, porta una gioia assoluta, tale da indurre a pensare che fino a quel momento le situazioni di felicità fossero soltanto un surrogato, l’anticamera di ben altra condizione spirituale.

La morte, per contro, causa la prostrazione più profonda, al punto da chiedersi se si riuscirà mai a superare una condizione così lacerante che pare impossibile da eliminare.

Entrambe le situazioni prevedono poi preliminari di attesa, che ci vedono sospesi nel tentativo di immaginare quale sarà la nostra reazione nel momento in cui ci troveremo al dunque: perché già sappiamo che esso arriverà, ma non ci saremo mai preparati a sufficienza per l’impatto con la morte, né avremo immaginato abbastanza della nascita.

Soltanto a posteriori ci troveremo nella condizione di riflettere con cognizione di causa, perché avremo tutti gli elementi per farlo, per dare ascolto al ricordo, alle nostre sensazioni più intime e vere e imparare qualcosa della vita che resterà nostro patrimonio per sempre.

Dopo il parto, ho dedicato molto tempo alla riflessione sul significato del dolore fisico: mi chiedevo se potesse averne uno e quale fosse la sua finalità, dal momento che per la specie umana non possono essere chiamati in causa soltanto gli elementi istintuali che concorrono a garantire la conservazione della discendenza, come per altre specie.

Per l’animale umano, tutto si complica: la riproduzione, nelle società industrializzate, soggiace ormai sempre più spesso a leggi non scritte ma ben radicate nel tessuto sociale e nei vissuti personali, sicchè il desiderio di un figlio tende a insorgere “dopo”, quando una serie di obiettivi che si ritenevano irrinunciabili sono stati raggiunti e si pensa di trovarsi nella condizione giusta per far fronte all’impegno richiesto dalla gestione di un bambino.

UN bambino, al massimo due…La società occidentale non è certamente strutturata per andare incontro alle esigenze di un bambino e della coppia che lo ha generato, per cui risulta davvero difficile pensare di spingersi oltre i due figli; sempre più spesso, anzi, il modello famigliare prevalente ne prevede uno soltanto.

Durante il travaglio, dunque, mi è capitato di sperimentare la consapevolezza che non avrei fatto tanti bambini e di riflettere che in quel momento stavo vivendo sensazioni che al massimo potevo pensare di provare un’altra volta.

Siamo onesti: il dolore ad un certo punto attanaglia, sconforta, sembra che non debba finire mai. Viene anche da pensare che se ci fosse un mezzo per annullarlo, forse…

L’abbandono alla persona che si prende cura di noi in quel momento è totale: potrò mai dimenticare la presenza discreta e forte di Laura, la mia cicogna ? : )

Per questo è fondamentale chiarirsi, durante la gravidanza, sull’esperienza che si vuole vivere: come e dove, possibilmente anche con chi, ma ogni donna è un caso a sè e non ci sono soluzioni valide per tutte.

Il dolore, quindi: quando ho avuto tra le braccia le mie bambine, ho percepito nettamente l’attivarsi immediato di un meccanismo di attaccamento e protezione  talmente intenso che ho avuto la netta sensazione di poter dare un significato al dolore, alla sofferenza, e che questo fosse intrinseco al bambino stesso e alla necessità di sollecitare in me, dopo tanto impegno, la reazione di difesa dal mondo e dalle sue insidie.

Mi sono chiesta se avrei sperimentato i medesimi impulsi in assenza di dolore e fatica, se cioè avrei considerato allo stesso modo quell’essere così prezioso, sul quale avevo investito anche fisicamente molto della mia persona: la risposta è stata che probabilmente quelle sensazioni sarebbero state assai attenuate.

Mi sembrava quasi di aver trovato una giustificazione “biologica” al dolore: a distanza di tempo, ripensandoci, non riesco a richiamare alla mente il tipo di sensazione sperimentata, cosa che mi riesce invece molto bene per un dolore emicranico o colico, ad esempio, ma in ogni caso, di essa non conservo affatto un ricordo negativo.

Non saprei dire altro: questa è stata la mia esperienza, molto “animale”, primordiale, spontanea…chissà se qualcun’altra la condivide ?

p.s.  Un ginecologo inglese ha formulato questa interessante teoria, sulla quale le neuroscienze stanno indagando per provarne le basi naturali, fisiologiche, espresse dall’organismo della donna durante il travaglio:

http://www.adnkronos.com/Archivio/AdnSalute/2009/07/13/FitnessQualitaVita/ginecologia-la-teoria-dolore-parto-naturale-utile-alla-mamma_143157.php

7 pensieri su “Il dolore nel parto: alla ricerca di un senso

  1. ..ricordo bene la frase che mi sono quasi urlata nella testa durante il mio secondo travaglio: “ma perché, perché, perché non me lo sono ricordato che era così???”; ma il ricordo di quei momenti ora -e già pochissimo dopo- è così dolce: la differenza col parto in casa per me non è stata tanto sull’entità del dolore, ma sul vissuto di rispetto, di pienezza.
    Il dolore, invece, è stato nuovamente fortissimo, forse ancora più lacerante della prima volta.. trovare un senso al dolore? non so se si possa/si debba, forse paradossalmente è proprio il suo essere insensato ad avere “senso”. Mi ritrovo nelle tue parole, nel “dare la vita” a tuo/a figlio/a, in tutti i sensi. Per me è stato arrendersi: arrendersia qualcosa di più grande di me, deporee ogni arma, uscire completamente da me stessa ed essere al contempo nel mio più profondo intimo. Chissà, mistero è mistero, che ad ognuna parla in maniera diversa, i cui efetti mutano nel nostro interno a lungo termine..

    • ahah!!vero, anch’io mi sono detta la stessa cosa, perchè ti dirò che non mi aspettavo un dolore così intenso la prima volta; poi si dimentica del tutto, quando vedi il cosino che sei riuscita a creare, ma se lo sperimenti di nuovo a un certo punto hai il flash: eccolo, è lui!!!…certo è che nella tua casa hai la sensazione che tutto sia al suo posto, anche il dolore… ; ))

  2. Non so, non sono così sicura che il dolore nel parto serva a qualcosa, magari sì, serviva a far ricordare agli essere umani di non esagerare nel moltiplicarsi, che poi il pianeta ne avrebbe risentito..
    Serve anche il dolore per un braccio spezzato, ma non ci sogneremmo mai di di operarlo così, a freddo.
    Io avrei voluto il parto in acqua, ero serena e felice di ricevere il mio bambino nel modo più naturale possibile.
    E invece il mio utero non lavorava (sarà perchè ho 35 anni?) e mi si sono rotte le acque per poi non avere contrazioni per tre giorni. Al terzo giorno mi hanno indotto il parto ed è stato terribile. 10 ore di travaglio, poi il battito del mio bimbo che andava e veniva (attorcigliato nel cordone..) poi la firma sul modulo che mi descriveva il rischio del cesareo, in ultimo un parto naturale senza anestesia di alcun tipo con rottura dell’utero e perdita di quasi un litro di sangue e punti esterni ed interni in quantità. Punti che sentivo uno ad uno, perchè l’anestesia aveva attecchito solo in parte e solo dentro.. Insomma, un incubo.
    E poi mi hanno subito attaccato il bimbo al seno. Solo quello mi ha permesso di gioire dal più profondo dell’anima.
    Il parto in casa: magari! E non avevo neppure i soldi per affrontarlo..oltre all’ansia generale di mia madre, mia suocera (capo infermiera dell’ospedale infantile di Belgrado) e mio marito che non facevano che ripetermi in casa no, no assolutamente no, che poi magari qualcosa va storto..
    è andato storto tutto.

    • povera!! mi spiace sempre quando una donna ricorda particolari spiacevoli del suo parto…il dolore del parto comunque è ben diverso da qualunque altro, e può essere accettato se le condizioni in cui la donna viene seguita sono confortevoli e rispettose.il parto in casa non lo avresti potuto fare, perchè dobbiamo seguire protocolli di sicurezza molto precisi, e nel tuo caso saresti stata fuori.quello che una donna dovrebbe sempre fare è andare a visitare più centri nascita durante la gravidanza, e scegliere quello dove sente che le sue aspettative sono rispettate più che altrove…auguri per il prossimo comunque!! : ))

  3. ho scritto forse un intervento troppo radicale? so che alle volte, nello scrivere posso risultare scomoda, ma in realtà io sono felicissima del mio bimbo..solo è venuto al mondo in maniera un po’ storta, ma di certo la gioia maggiore è stata guardarlo negli occhi, subito..

    • ma nooo!! su questi argomenti è giusto e necessario esprimere qualunque cosa, perchè siamo tutte diverse e ugualmente le nostre sensazioni…soprattutto quando l’esperienza la si è vissuta, altrimenti qualunque riflessione resta parziale per forza!! fortunatamente gli occhi dei neonati sono magnetici e meravigliosi!! : ))

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