Nascere in casa: come, cosa, quando, perchè…

Si parla di parto in casa, e le reazioni sono variegate: dalla visione di tavoli da cucina imbrattati all’idea che l’ambiente domestico non abbia le caratteristiche igieniche della “sala parto”, dal timore di sporcare la totalità dei metri quadri abitativi al commento sulla “pratica sorpassata”. Ma spesso segue un’altra riflessione, che si affaccia lentamente, cauta, e allora dalla bocca esce un “bello però”…

La medicalizzazione spinta della nascita ha deviato le nostre percezioni (anche quelle di molti operatori sanitari) verso un immaginario distorto, in cui trovano spazio orride immagini e drammi incombenti,  eppure un’infinità di studi e ricerche ci sta suggerendo la necessità di tornare ad una dimensione di rispetto dell’evento nascita, in senso biologico e umano, proprio per salvaguardarlo nella sua globalità, fornendoci al contempo validi strumenti di riflessione e tecnici da applicare nella pratica assistenziale per offrire il massimo della sicurezza con il minimo intervento sanitario.

Le considerazioni sulla sicurezza sono già state sviscerate nel post “Il parto in casa? Sicuro come in ospedale”, e per chi ha voglia “Una nascita: il racconto di Sara” consente di percepire almeno un pò le sensazioni di chi lo ha vissuto in prima persona…

Proviamo invece a mettere sul tappeto cosa significa partorire nella propria casa ora, in tempi in cui migliorate condizioni igieniche e di nutrizione, conoscenza e livelli formativi delle ostetriche, tecnologia e organizzazione delle strutture di assistenza consentono scenari un tempo inimmaginabili. A partire dalle domande più frequenti rivolte dalle donne e dai futuri papà, si può tracciare un quadro che raduna tutte (o quasi) le informazioni che servono per assumere una decisione in questo senso.

Cominciando dal PERCHE’… A questa domanda rispondono tutte le donne/coppie che fino ad ora hanno già compiuto questa scelta: per il bisogno di decidere in prima persona, senza delegare ad altri – perchè l’ospedale viene vissuto come spersonalizzante – per sentirsi più a proprio agio, circondate da luoghi e cose familiari e rassicuranti, e maggiormente seguite sia prima che dopo il parto – per avere la possibilità di tenere sempre con sè il neonato e poterlo allattare di sicuro, perchè a casa difficoltà di allattamento non ce ne sono – per non separarsi dai bimbi che già ci sono – per dare spazio libero alle proprie sensazioni – per vivere con pienezza ogni momento della nascita, senza interferenze non necessarie – per dare sfogo alle reazioni emotive in maniera spontanea, non condizionata dall’ambiente o da altre persone – per offrire il massimo dell’intimità e del rispetto a un momento irripetibile della vita…

Chiunque potrebbe aggiungere ciò che vuole, sia prima che dopo aver sperimentato questa modalità di accoglienza del nuovo nato, ma queste sono le considerazioni che maggiormente ricorrono.

QUANDO è possibile partorire nella propria casa? In tutte le situazioni in cui una donna è sana, ha una gravidanza regolare senza complicanze e senza pregressi tagli cesarei, un feto unico, normalmente sviluppato e con la testolina in basso, un travaglio regolare senza elementi di rischio e si trova ad almeno 37 settimane compiute di gestazione.

Quindi ci si chiede COME un desiderio possa trasformarsi in pratica, e si passa a contattare un’ostetrica che abbia esperienza in questo specifico ambito. Da una regione all’altra, in Italia, vi possono essere differenze significative in termini di organizzazione dell’assistenza, costi, gestione globale di tutti gli aspetti della programmazione dell’evento.

Il Piemonte è stato apripista in questa direzione, emanando una delibera di rimborso parziale delle spese sostenute per l’assistenza al parto domiciliare già nel 1990, e attualmente in vigore, oltre a mettere a punto un Protocollo Assistenziale che ogni ostetrica di buon senso deve seguire per garantire massima sicurezza all’evento. Altre regioni hanno recepito il modello, per cui attualmente Marche, Emilia Romagna, Provincia Autonoma di Trento e Lazio offrono rimborsi, ma vale la pena di informarsi presso la propria ASL di appartenenza per sondare eventuali aggiornamenti.

La prima struttura ospedaliera pubblica a fornire gratuitamente il servizio di assistenza a domicilio è stato l’Ospedale S.Anna di Torino, in cui è tuttora attivo, ma altre si sono mosse in tal senso, per cui è sempre bene chiedere nei consultori o negli ospedali delle propria zona.

In questa regione, dunque, i passaggi assistenziali sono codificati dal protocollo nel caso in cui la donna venga assistita da una libera professionista.

COSA occorre fare per organizzare un parto a domicilio? Innanzi tutto cercare un’ostetrica disponibile, esperta in questo settore, che disponga del materiale necessario, con cui si instauri un feeling soddisfacente, ci si trovi a proprio agio e che risponda alle aspettative che si esprimono.

L’ostetrica procede quindi, durante la gravidanza, a raccogliere progressivamente tutti i dati che serviranno a tracciare un quadro della situazione personale della donna, soprattutto della presenza dei requisiti necessari per accedere a questo percorso assistenziale (fermo restando che nel tempo può accadere che cambi qualcosa riguardo alla sua salute o alla gravidanza stessa). Viene compilata una vera e propria cartella sanitaria, documento che contiene tutto quanto serve per descrivere e monitorare il procedere della gestazione, l’inizio del travaglio, lo svolgimento del parto, le annotazioni in puerperio relative a mamma e neonato, le visite pediatriche, etc. Entro la fine dell’ottavo mese viene avviata presso l’ASL di appartenenza la pratica per la richiesta di rimborso, presentando allo sportello apposito i documenti previsti, compilati sia dall’ostetrica che dal medico di base. Nel contempo, si invia al nido e alla sala parto dell’ospedale di riferimento in caso di necessità (che non deve distare più di 20-30 minuti dall’abitazione in cui dovrà avvenire l’evento) una comunicazione sottoscritta dall’ostetrica contenente i dati della donna, il luogo di residenza e la data presunta del parto.

Nel frattempo sarà molto importante accompagnare la futura madre alla nascita attraverso informazioni dettagliate e un lavoro sul corpo, sulla preparazione del perineo e sull’acquisizione di strumenti per il controllo dell’ansia e del dolore in travaglio.

Man mano che il momento si avvicina, si passa a predisporre l’ambiente domestico perchè il parto possa svolgersi con tranquillità, curandone pulizia, disposizione del materiale necessario, preparazione delle cose che effettivamente serviranno (poche!) prima e dopo la nascita del bambino.

Quando inizia il travaglio, l’ostetrica si reca a casa della donna, accompagnata da una collega, e resta a sorvegliarne l’andamento; nel frattempo, avvisa sia il 118 sia la sala parto dell’ospedale di riferimento, comunicando la situazione in cui si trova. In questo modo il servizio di emergenza è allertato e sarà pronto ad intervenire rapidamente in caso di necessità, essendo già a conoscenza di tutti i dati necessari (luogo dell’evento, nominativo della donna, etc.), così come la sala parto.

Intanto ci si prepara per la nascita: materiale sanitario, biancheria, teli monouso, l’acqua nella vasca per far immergere la mamy prossima ventura, il controllo regolare del battito fetale, un pò di musica e tanta tranquillità…

Il futuro papà non resta certo con le mani in mano: aiuta a predisporre il tutto, massaggia la sua compagna, mette i teli a riscaldare nel forno, prepara un buon caffè o una tisana, resta accanto all’altra metà del cielo godendosi l’intensità di momenti che appartengono anche a lui, poi se vuole taglia il cordone ombelicale, fa il bagnetto al piccolo…e tutto senza fretta!

Dopo la nascita, l’ostetrica avrà cura di contattare nuovamente il 118 e l’ospedale per comunicare il buon esito dell’evento, poi si fermerà per qualche ora a controllare la situazione, aiutare la neomamma ad attaccare al seno il cucciolo e a fare una doccia, riordinare il materiale sanitario, lasciando un ambiente sereno e dando la reperibilità costante per eventuali necessità. A distanza di qualche ora, mamma e bimbo vengono ricontrollati, chiamando un pediatra per la prima visita neonatale a domicilio; nei giorni seguenti, il controllo continua, accurato e tranquillo. Ogni ostetrica si organizza a modo proprio, ma un buon monitoraggio, che soddisfa pienamente le esigenze materne di accudimento, deve prevedere alcuni giorni consecutivi di verifica, poi una visita a settimana fino a un mese di vita del bimbo.

Durante l’ultima visita, si traccia un bilancio di salute materna e neonatale completo, includendo la consulenza contraccettiva, la valutazione del perineo e l’eventuale impostazione di un programma di tonificazione sia vaginale che addominale.

La relazione però non finisce dopo un mese. Il legame che si crea tra tutti i protagonisti è talmente forte che è come se tra l’ostetrica e ogni donna assistita, ogni bambino aiutato a nascere residuasse un sottile cordoncino ombelicomentale, quello sì permanente… : )))

 

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